Italo Mancini
Italo Mancini

14. POST FESTIVAL DIGITALE “VALERIO VOLPINI E LA RESISTENZA” 28 marzo 2014

in Festival Digitale Valerio Volpini e la Resistenza - Fanocittà

14. POST FESTIVAL DIGITALE “VALERIO VOLPINI E LA RESISTENZA”

Italo Mancini

 

1.

LA PRESENZA DI SCRITTRICI (3 – fine)

di Angelo Paoluzi

Una delle caratteristiche della letteratura giovanile sulla Resistenza è data dalla presenza femminile: fra le autrici spicca la personalità di Lia Levi, alla quale si deve una trilogia “all’ombra delle leggi razziali” con Una bambina e basta (1994), L’albergo della magnolia (2001) e L’amore mio non può (2006), cui vanno aggiunti La perfida Ester (2002), La ragazza della foto (2005), L’amica di carta (2007), La collana della regina (2008) e, in collaborazione con Simone Tonucci, Giovanna e i suoi re (2006). Prevalente, ma non esclusivo, il tema della persecuzione antisemita che viene svolto anche da Anna Baccellieri nel racconto della Shoa in In punta di stella e in Ma c’è sempre l’arcobaleno, ambedue testi del 2013 destinati ai bimbi più piccoli. Come il libro illustrato Qui Radio Londra. L’aquila vola (2008) di Vanna Cercenà e della pesarese Emanuela Orciari.

Autobiografici i romanzi di Roberto Denti Ancora un giorno (2001) e La Mia resistenza (2004); di Primo De Lazzari, Ragazzi della Resistenza (2008); di Gorigus, l’ironica Storia di quando arrivammo tardi alla guerra (2002); di Frediano Sessi L’isola di Raab: 1941-1943 (2004); di Fabrizio Silei, Bernardo e l’angelo nero e Prima che venga il giorno, narrazione della strage di Pratale del luglio 1944, ambedue del 2010; di Andrea Molesini La primavera del lupo (2013); Estrella (2000) e Leda e il mago (2003) di Ermanno Detti. Una citazione a parte per Guido Petter che, in una vasta produzione pedagogica e letteraria, da ex partigiano ha scritto sulla Resistenza una mezza dozzina di romanzi fra i quali un classico come I ragazzi della banda senza nome (1972) e La prima stella. Valgrande (riedito nel 2012), storia di battaglie partigiane in Piemonte. E un altro classico è “il maestro” Mario Lodi, recentemente scomparso, del quale è necessario ricordare La busta rossa (1996) e Il corvo (1971).

 

Il contributo dei cattolici

Molte le testimonianze sull’apporto dei cattolici alla Resistenza. In Piccole fiamme verdi (2005) di Enzo Petrini è raccolta l’esperienza della partecipazione di giovani cristiani alla guerra di liberazione. Esiste inoltre un piccolo corpus di opere che raccontano il contributo degli scout alla Resistenza. Ne parla Mario Isella in Penne d’aquila (2006) e Fedeli e ribelli (2008) con l’epopea degli esploratori cattolici prima nell’opposizione al fascismo, poi nella presenza, disarmata ma efficiente, destinata al salvataggio dei perseguitati. Così Carlo Verga e Vittorio Cagnozzi in Le Aquile randagie (2007) e Tommaso Percivale in Ribelli in fuga (2013) testimoniano il rifiuto al fascismo di tenaci gruppi di scout, sopravissuti clandestinamente allo scioglimento dell’associazione imposto dal regime.

La nostra non è un’arida elencazione di testi, ma la conferma di quanto Volpini affermava sul valore della letteratura come arma di difesa della libertà. Proprio in tempi recenti si costata la ripresa di libri di invenzione ambientati nel periodo della lotta clandestina oltre che la riedizione di opere del primo periodo. Basterà qui ricordare, senza pretesa di esaurire tutti i titoli, La messa dell’uomo disarmato di Luisito Bianchi e Il cavallo rosso di Eugenio Corti, accanto all’ esperimento di libro collettivo In territorio nemico (2013), i quaranta contributi di Storie della Resistenza (2013), Adelfi (2007) di Paolo Mastrolilli, Uno dei tanti (2009) di Edgarda Ferri, Partigiano Inverno (2012) di Giacomo Verri, Dove finisce Roma (2012) di Paola Soriga. Questa contiguità fra prodotti per i giovani e la letteratura tradizionale sarebbe piaciuta a Valerio Volpini.

Angelo Paoluzi (3 – fine)

 

 

 

2.

UNA QUADRERIA PESARESE FANESE E URBINATE DELLA RIVOLTA PER AMORE. LA RESISTENZA NEL NOSTRO TERRITORIO

A cura di Gastone Mosci e Angelo Paoluzi

 

La Radio nel pagliaio di Alberto Calavalle

Alberto Calavalle, “La radio nel pagliaio”, Guaraldi Editore, 2014.

 

Il racconto è semplice.

A parlare è un bambino con la sua ingenuità, la sua fantasia, le sue paure.
E’ stato scritto dietro una spinta interiore al contributo perché le guerre non ci siano più.
E che i bambini non siano più le prime vittime innocenti, come purtroppo succede ancora oggi nei conflitti che avvengono in varie parti del mondo.
L’opera riveste anche una duplice attualità, perché quest’anno in agosto ricorre il settantesimo anniversario della Liberazione di Urbino, evento questo citato nel libro.

 

Sono vivi inoltre i ricordi di un familiare caduto nella prima guerra mondiale e i continui richiami del nonno a quella guerra nella quale lui ha combattuto e della quale ricorre quest’anno il centesimo anniversario dello scoppio avvenuto nel 1914.
Nella prima guerra mondiale Alberto Calavalle ha ambientato il precedente romanzo “Sulla frontiera della Vertojbica”, pubblicato nel 1997, anche quello come monito contro la guerra.

 

Simona Baldelli Evelina e le fate

Simona Baldelli, “Evelina e le fate”, Giunti, 2013.

Simona Baldelli è nata a Pesaro nel 1963. Evelina e le fate, edito da Giunti
Firenze 2013, è stato finalista al Premio Calvino 2012.

 

Racconta la storia di una bambina durante il periodo del passaggio del fronte in terra marchigiana tra l’occupazione tedesca e l’arrivo degli alleati.

 

Emanuela Orciari Qui Radio Londra. Laquila vola

Emanuela Orciari, “Qui Radio Londra. L’aquila vola”, Fatatrac, 2008.

Emanuela Orciari è nata a Pesaro nel 1963, ha fatto gli studi d’arte frequentando il corso biennale di disegno animato presso l’Istituto d’Arte di Urbino.
Nel 2000 ha presentato una sua personale nel chiostro della basilica di San Paterniano a Fano.
E’ coautrice, con Vanna Cercenà, del libro per ragazzi Qui Radio Londra – l’Aquila vola, pubblicato da Fatatrac, Casalecchio sul Reno 2008.

 

 

Premio Giornalistico Valerio Volpini

 

3.

PREMIO VALERIO VOLPINI, IX Ed., 9 APRILE 2014 10h30

A DON MAURIZIO PATRICIELLO,

 

La voce della Terra dei fuochi

Papa Francesco invita ad andare contro le mafie.

Don Ciotti dice: serve un impegno nuovo.

Ancora don Ciotti: “Quanti silenzi in passato dalla Chiesa ma da oggi con Francesco cambia tutto”.

Il Papa ai mafiosi:
“Convertitevi, ve lo chiedo in ginocchio. Convertitevi. Per favore cambiate vita, fermatevi di fare il male. C’è ancora tempo per non finire all’inferno: è quello che vi aspetta se continuate su questa strada”…
“Il potere, il denaro che voi avete adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi, è denaro insanguinato, è potere insanguinato e non potrete portarlo nell’altra vita”.

(“Avvenire“, 22 marzo 2014)

 

Nell’exposé de “la Repubblica” del 20 marzo 2014, lo scrittore Roberto Saviano parla de “La terra della menzogna”, il disastro della camorra di vent’anni fa con l’assassinio di don Giuseppe Diana. Nell’articolo “Il falò della verità” denuncia gli smaltimenti illegali: quel sodalizio criminale tra ditte del Nord e cosche del Sud che ha provocato la Terra dei fuochi.
“Come se sia possibile ancora possibile negare che in ventidue anni sono stati smaltiti nella Terra dei fuochi oltre 10 milioni di tonnellate di rifiuti di ogni specie…” un avvelenamento permanente nell’area fra Napoli e Caserta.
Che cosa si chiede? Che il Senato approv il’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale.

*

A seguire una testimonianza di don Maurizio Patriciello (“Avvenire” 19 marzo 2014) in memoria di don Giuseppe Diana.
Il martirio, un chicco che ha portato frutto

 

CARO DON PEPPINO TU CI HAI CAMBIATI

di Maurizio Patriciello

 

Con don Peppino “se il chicco di grano non muore non porta frutto”. A te lo posso dire: gli eroi, come i santi martiri mi intimidiscono, mi mettono a disagio. Troppo distanti li vedo da noi, poveri mortali.

Il fatto, poi, che qualcuno si sia macchiato del loro sangue, mi addolora fino allo spasimo. Preferisco i santi “normali”, quelle persone che, come Maria, la mamma di Gesù, consumano i loro giorni facendo il bene. Mi piacciono le persone normali, come normale eri tu: un prete senza aggettivi.
Il prete è un uomo che ritiene la sua vita troppo fragile e preziosa e si preoccupa di metterla al sicuro. Perciò prende il suo cuore e lo regala al Solo che può tenerlo eternamente vivo.

Tu eri innamorato di Cristo e della libertà che da sempre Egli sparge a piene mani. Lo hai invocato, pregato, adorato nelle tue notti insonni: lo hai poi cercato nei fratelli più bistrattati, umiliati, maltrattati.

Qualcuno, Peppino, pensa che il cristiano – e ancor di più il prete – debba essere neutrale, un uomo senza passioni, che non si schiera mai. Equidistante dall’oppresso e dal tiranno. Tu, al contrario, sapevi bene che il prete è un uomo sempre in bilico tra cielo e terra. Che di giorno si sporca le mani per soccorrere e promuovere i fratelli e di notte si procura i calli alle ginocchia per portarli a Dio.
Tu, Peppino, il martirio non lo hai mai cercato. La tua sete di giustizia, però, dava fastidio a tanti. Chi a Casal di Principe ti voleva bene, ti consigliava di essere prudente. La prudenza, virtù necessaria e nobile, non è però codardia o quieto vivere.
Tu, uomo di Dio, non potevi fingere di ignorare la pena immensa che il tuo popolo era costretto a sopportare a causa di chi, per brama di denaro, svendette la sua stessa umanità. Costoro –si chiamino camorristi, mafiosi e ‘ndranghetisti è la stessa cosa – appollaiati sulle spalle altrui, decisero di campare a sbafo. Sottoscrissero un patto scellerato con la propria coscienza, dichiararono una guerra stupida e feroce alla civile società.
Non vogliono sottostare a nessuna regola, non amano essere ostacolati. E’ come se un tarlo maledetto ne avesse deturpato la ragione. Scaltri come serpenti hanno smarrito la semplicità delle colombe. Per fare presa sulla gente, intimidiscono, minacciano, uccidono.
Potevi tu, don Peppino, tacere davanti a tanto scempio? Potevi “mettere la museruola al bue che trebbia?” No. Afferrato da Cristo ne eri diventato liberamente prigioniero. Nessuno, per nessun motivo, può chiedere a nessuno di rinunciare alla sua dignità di uomo. E tu, libero come il vento che soffia a primavera, sei andato per la “tua” strada. Come Gesù, l’hai imboccata, pur sapendo che a “Gerusalemme” ti avrebbero arrestato, flagellato e messi in croce.

“Dio te ne scampi, Signore, questo non ti accadrà mai”, disse Pietro al Cristo mentre, indurito il volto, si incamminava verso la città santa. Ma per questo “consiglio” inopportuno fu da lui aspramente redarguito. No, a Gerusalemme, quando il momento è giunto, si va. Con le lacrime agli occhi e la morte nel cuore, se Lui lo chiede, si deve andare. Invocando il Padre: “Se puoi trapassa da me questo calice…” ma aggiungendo subito: “Non la mia, la tua volontà sia fatta…”.

Peppino mio, come è umano Gesù nell’orto. Quanta tenerezza suscita la sua Agonia. Non è un eroe pur essendo pronto per essere inchiodato. Peppino posso dirtelo? Come somigli a Gesù tradito e sanguinante nell’uliveto benedetto. Come Lui hai versato il sangue per riscattarci dall’infamia che da anni vuole tenerci prigionieri.

Sai? Non te l’ho detto mai, ma da quella mattina – son passati venti anni – la nostra vita non è più la stessa. La tua morte ha segnato in modo indelebile la nostra diocesi di Aversa e La Chiesa italiana. Il tuo impegno, il tuo coraggio, il tuo sangue hanno marchiato a fuoco il nostro territorio.
Dal tuo seme marcio nella nostra bella terra campana sono nate spighe meravigliose. La tua giovane esistenza, la tua fede, il tuo sacerdozio, il tuo martirio hanno impreziosito la nostra antica e fiera Chiesa aversana. Tu non sei morto, sei più vivo che mai.

Prega per noi. Perché mai più nessuno abbia a soffrire e a morire per la sua fede. Perché termini come “camorra” e “mafia” siano banditi da tutti i vocabolari del mondo. Perché i fratelli camorristi possano pentirsi e chiedere perdono. Perché i sentimenti di giustizia e misericordia invadano i cuori di tutti gli uomini creati a immagine di Dio. Prega per questa tua terra maltrattata e bella perché da “terra dei fuochi” ritorni orgogliosamente a essere “terra di lavoro”, “Campania felix”.

Maurizio Patriciello