Valerio Volpini ritratto di Raimondo Rossi
Valerio Volpini ritratto di Raimondo Rossi

Festival Digitale “Valerio Volpini e la Resistenza” – III° anticipazione

in Festival Digitale Valerio Volpini e la Resistenza - Fanocittà

Festival Digitale “Valerio Volpini e la Resistenza” – III° anticipazione

 

Valerio Volpini ritratto di Raimondo Rossi 

RICORDO

            A Giannetto Dini fucilato il 1° aprile del 1944

Ancora chiedo se il tuo sorriso
era la nostra immagine segreta
d’uomini spersi sull’arcobaleno del mondo.

 

Crocifiggerci di sguardi biechi
sui crinali fra neve e vento
era l’indicibile agonia e non la festa dei fantasmi
nelle fughe o nel rosso degli scoppi.

 

Spaziavamo di pensieri ogni parola
che velasse le soglie del nostro “amare”
bruciato senza fiamma
su disperati turibuli di visioni.

 

Al nostro patire alla sorpresa di ritrovarci soli
dicevamo quella tremenda voce.

 

Max Drago Serjosa Giani…
la cantilena dei nomi ritorna
…forse ancora chiediamo
se i tuoi occhi avessero la luce del mondo.

 

Memoria di Giannetto Dini

“Ricordo”, la poesia di Valerio Volpini dedicata a Giannetto Dini, fucilato il 1° aprile del 1944, appartiene alla poesia della Resistenza, è nata nel corso degli eventi. Il testo si trova nella plaquette “11 poesie di Valerio Volpini / 11 incisioni di Arnaldo Battistoni” (Fano Dicembre 1947, 30 esemplari), la prima pubblicazione di Volpini, distribuita dai due autori e rimasta decisamente inedita. Ne riparleremo complessivamente nella settimana del Festival digitale del 25 luglio. Quando fu fucilato dai nazi-fascisti lontano da Fano, Giannetto Dini aveva 17 anni. Era insieme nella lotta armata e sul patibolo ad un amico di 22 anni, l’urbinate Ferdinando Salvalai. Volpini che già militava nella Resistenza dell’Appennino del Catria ne fu colpito profondamente. La sua non è una poesia di commemorazione ma di sgomento, di costruzione delle ragioni spirituali della lotta per la libertà, di esistenza vissuta nei crinali dell’Appennino: Dini, il martire, ha lo sguardo intenso di chi pensa, di chi è consapevole – pur nella giovane età – delle scelte di civiltà, ma anche del canto immenso di aver fatto una scelta di “amore”. Un rinnovare l’essere “ribelli per amore”. E il ritrovarsi nella fossa dei martiri e nella “cantilena dei nomi” dei compagni di sventura. Il testo è una canzone di testimonianza e di interrogazione amara: ci “chiediamo / se i tuoi occhi avessero la luce del mondo”. Questa poesia è stata spesso riproposta nelle pubblicazioni dei partigiani.
Il saggio che segue è stato pubblicato nel 1963 e rende conto della continua attenzione di Volpini per i temi della Resistenza, fondamentali per la politica dell’Italia democratica e per il futuro dell’Europa. La nuova democrazia costituzionale italiana nasce dalla Resistenza e dalla Resistenza nasce la nuova Europa, ed ancora dalla Resistenza nasce la nuova democrazia tedesca, che è sottoposta ad un severo giudizio critico nello scritto di Volpini, un appello per la partecipazione ad una nuova coscienza democratica. I due testi sulla Resistenza appartengono ad un volumetto fondamentale di Volpini nelle edizioni La Locusta, che sono pubblicate nel nome dell’amicizia per don Primo Mazzolari, “Violenza anni ’60” (1963): l’opera di un intellettuale – si dice nel risvolto di copertina – che “si sente colpito e, come tutti responsabile, di quanto accade nel mondo”. L’opera di uno scrittore che denuncia “l’antica malattia dell’uomo, la violenza, nelle sue diverse forme…” per restare impegnati e liberi nel segno di autori come Maritain, Bernanos e Carlo Bo.(Gastone Mosci)

 

Germania e Resistenza

di Valerio Volpini

Sembra che, a scadenze fisse, in Germania si debbano manifestare dei fatti che contrastano clamorosamente con i motivi più semplici della democrazia, che dimostrano come la più elementare coscienza storica non conti di far fronte allo sciovinismo, come neppure la fede religiosa sia sufficiente per l’uomo tedesco degli anni sessanta. Nell’ultimo scorcio del ’62 c’è stato il “caso” del film sulle “Quattro giornate di Napoli” che ancora non ho avuto modo di vedere ma che, da quello che ho potuto sapere e leggere, è stato ricostruito fedelmente sugli episodi autentici di uno dei movimenti di ribellione che più onorano la nostra Resistenza; ebbene, in Germania, un settimanale che è l’opinione (dopo tutto ripetere che sono i giornali a fare l’opinione è spesso un’ipocrisia bella e buona perché è chiaro che molta stampa vuole essere al livello dell’opinione stessa) diffusa e qualunquista ha scritto che le “quattro giornate” sono state soltanto una baruffa fra “prostitute” e “ruffiani”.

 

La macabra lettura delle “Quattro giornate di Napoli”

A parte il “cattivo gusto” d’insultare con un aspetto di tutta una realtà sociale che non manca in nessuna città del mondo, e men che meno nelle città industrializzate della Germania, è stato assurdo il modo così affrontato, così cinico di negare la verità; una verità storica tanto recente e documentata che non ha neppure una possibilità di una interpretazione ma che, evidentemente, chiede soltanto di essere accettata.
Qui non discuto se questi episodi possono colpire o meno, se possono modificare o no il cosiddetto sentimento nazionale; mi chiedo soltanto se è ammissibile che per una mortificazione e per un rimprovero che la storia offre alla meditazione di tutti, si possa uscire affermando non tanto che il fatto non interessa ma addirittura che non esiste e si passa addirittura da un pudore presuntuoso a una forma di ipocrisia collettiva che, pure ammantata di sentimento nazionale, non è meno colpevole e pericolosa. Né si può dire che si tratti di un atteggiamento sporadico.

 

L’ipocrisia collettiva della giustificazione

Ricordo che, anni or sono, fu addirittura pubblicato un libro per dimostrare che la distruzione e il massacro di Marzabotto non erano avvenuti; ricordo che secondo una statistica rigorosa, una parte cospicua di tedeschi dichiarava che i documenti sullo sterminio nei campi nazisti erano una “montatura” degli alleati; so che la stragrande maggioranza dei giovani non sa nulla, o quasi, di quello che hanno fatto Hitler e il nazismo.
Anche nel processo e nella condanna di Eichmann non si può dire che l’opinione tedesca abbia portato quel minimo di comprensione e di autocritica che sarebbe stato pensabile; ho sentito io stesso dei giovani, non nazisti, forse religiosi, affermare candidamente che il diabolico ragioniere dello sterminio “era stato un buon soldato”, “forse un po’ zelante”, comunque “un buon tedesco”; proprio in questi giorni mi è stato raccontato che, durante una visita alla Polonia da parte di un gruppo di cattolici dell’Occidente, allorché fu compiuta la visita ad Auschwitz i giovani tedeschi non parteciparono e una ragazza che seguì i compagni di altre nazionalità fu poi aspramente redarguita dai suoi connazionali: “Perché tu sei tedesca!” Evidentemente a distanza di tempo – e forse non soltanto per l’allungarsi della prospettiva storica ma anche per la parte politica che la Germania svolge nell’Europa – la dissociazione morale fra nazismo e popolo, fra la politica del primo e l’obbedienza cieca del secondo, tende ad essere dimenticata e ancora peggio si tende alla minimizzazione ed alla negazione degli orrori scatenati dal nazismo.

 

La nuova Europa è nata dalla Resistenza

Beninteso non si tratta per l’Europa di attribuire al popolo tedesco le colpe del nazismo (e nobili parole sono state dette in proposito da Ben Gurion il capo dello Stato d’Israele: “Sarebbe un errore riferire a tutta la Germania ciò che è stato del nazismo”) ma di ricordare che la nuova Europa è nata dalla Resistenza, quella Resistenza che ha avuto nella Germania i suoi eroi dimenticati, i suoi martiri silenziosi. La Resistenza che è stata compiuta in Europa da tutti i popoli non può essere ridotta, come si mostra di fare, a un episodio militare, ma soprattutto a un fatto morale, alla rivolta dell’uomo contemporaneo contro gli orrori incarnati in una concezione mostruosa della vita e dello Stato fondata sulla violenza dell’istinto e del sangue, su una mitologia tardo-romantica ove la corruzione del nazionalismo ottocentesco si mescolava alle più aberranti ipotesi, che sarebbe lungo esaminare in questa sede e che, del resto, sono state largamente indicate.
Si capisce che quando una grande parte dell’opinione tedesca non accetta la Resistenza se non sul piano dell’episodio della lotta armata contro il proprio paese, rifiutandosi di chiarirne e di valutarne i contenuti ideologici, compie il duplice errore di accettare collettivamente la responsabilità nazista e di porsi quasi automaticamente fuori della coscienza civile moderna; per questo tutta la intransigenza sciovinista nei confronti dei problemi dei confini con la Polonia (che ha assunto aspetti persino clamorosi in un “cattolico” e “antinazista” come Adenauer), per questo la ricerca affannosa di un “primato tedesco” che riesce persino a dimenticare gli attriti secolari con un altro paese, la Francia, suggestionato dalla “grandeur”; fatti che mostrano quanto poco sia stata accettata la lezione di eguaglianza fra i popoli che la Resistenza ha maturato.

 

Germania, dimostrare la libertà conquistata

Politica e vita morale di un popolo finiscono spesso per corrispondere e se questo spiega l’opinione iegantedesca per respingere la Resistenza, spiega anche l’anacronistica tentazione dei dirigenti governativi di Bonn che si ispirano ad una presunzione, che pure nprescindendo dal passato, dovrebbe essere più che sepolta. I giornali tedeschi che si lamentano che la Germania non trova simpatia all’estero per i suoi problemi, non dovrebbero prima dimostrare la liberttà di un popolo che ha compiuto la sua scelta respingendo un passato che invece di ignorare o di negare dovrebbe far conoscere sino in fondo soprattutto ai giovani? La Resistenza che ha creato l’anima moderna dell’Europa non può essere rifiutata se non a rischio di creare una pura convergenza di occasiolnali interessi esterni che i particolarismi e gli orgogli nazionali faranno crollare al primo soffio.

 

Germania, raccogliere i valori della Resistenza

Stiamo vivendo degli eventi che trasformano profondamente la situazione politico-morale di interi continenti, siamo di fronte a una realtà scientifica e militare talmente mutata che fermarsi ancora sui grotteschi risentimento contrabbandati per patriottidmo più che avere il senso della stupidità ha quello dell’incoscienza. Si accorgeranno del resto quegli uomini politici che trovano fuori del proprio paese la connivenza soltanto di quella parte che non ha il pudore di presentarsi come erede e continuatrice del fascismo.
Non poteva certo accadere diversamente ed anche da noi sono stati proprio i giornali fascisti a ripetere che l’episodio resistenziale delle giornate napoletane non è avvenuto. Ma il fascismo, si sa, è l’anticamera, quell’antieuropa che non ha neppure il sostegno di una prospettiva ideologica ma si muove appena carica di un furioso risentimento che la spinge a brancolare inutilmente nella società, o soltanto utile a quanti sono pronti a stroncare radicalmente le attuali democrazie. I conti tornano perfettamente sulla prova della Resistenza; e se è vero che l’Europa ha bisogno della Germania è altrettanto vero che questa non può fare a meno di raccogliere i valori della Resistenza.
Gennaio 1963
(in “Violenza anni ’60”, La locusta 1963 pp. 103-109)

 

VALERIO VOLPINI e ALDO DELI
Protagonisti della resistenza e della Liberazione

Fano. Scriveva Cesare Pavese nel romanzo Il mestiere di vivere: ” Quando un popolo non ha più un senso vitale del suo passato, si spegne. Si diventa creatori quando si ha un passato. La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia”.
Valerio Volpini amava molto stare insieme: ci aveva abituati ad incontrarci ogni mese per una cena tra amici (sono rimasti famosi gli incontri da “Pantalin” a Carrara). Si parlava di tutto, dalla letteratura alla politica, dalle nostre vicende personali ai fatti del giorno e si gettavano le basi per nuove iniziative quasi sempre culturali. Ma erano soprattutto i ricordi di Volpini e Deli sulle loro azioni come partigiani, sulla Resistenza e sulla Liberazione ad interessare noi, più giovani. Ricordo, in particolare, una serata che ci portò alle ore piccole perché sia Volpini che Deli, non finivano mai di raccontare quello che avevano fatto. Purtroppo a nessuno venne in mente di registrare quelle storie di straordinaria importanza. A noi faceva piacere godere della loro amicizia e non avevamo altro desiderio che ascoltarli. Quell’amicizia che Volpini, in una lettera privata dal Vaticano, arrivò a definire un “sacramento”. Per fortuna, perché rimanesse memoria di quegli avvenimenti, insistetti soprattutto con Deli perché mettesse per iscritto quello che ci avevano detto. E quasi tutto è riportato nel libro Aldo Deli, I merli di Fano, da me curato nel dicembre 2008 per la Fondazione Cassa di Risparmio di Fano. Scritti di Volpini sulla Resistenza apparvero ne “Il nuovo amico” (chissà se e quando potranno essere nuovamente letti e gustati!). Un bel racconto è ora riportato sul libro postumo La terra innocente (il lavoro editoriale 2002) .
Volpini e Deli vissero gli anni della Resistenza e della Liberazione quasi sempre insieme. Non ci sorprese sentire Volpini che affrontava il nemico con grande coraggio e determinazione, con una forza trascinatrice tipica di chi è nato capo, ma che anche Deli fosse intraprendente quanto e più di Volpini ci sorprese tutti. C’erano in tutti e due motivazioni così profonde e radicate che l’età non aveva fatto altro che esaltare. Péguy, il poeta amato da entrambi, scriveva a questo proposito: “La rivoluzione sociale sarà morale o non sarà”.
Ricordo anche vicende divertenti come quando ad una riunione dell’Azione Cattolica partecipò Volpini il quale, appena sedutosi, depose sul tavolo centrale, con grande naturalezza, le bombe a mano, il mitra, la rivoltella e altro materiale bellico che aveva sempre con sé. Tra lo sbigottimento, si può ben credere, del Vescovo Del Signore e di altri sacerdoti.
Sempre a proposito di quello che noi continuiamo a chiamare Seminario regionale, Deli ci raccontò che per nascondere le persone ricercate dai tedeschi ed impedire loro di entrare, inventarono la storia (che anch’io ho ripetuto fino alla smentita di Deli) che il Seminario era territorio dello Stato Vaticano e, perciò, godeva della condizione di extra-territoralità e, dunque, non poteva essere violato.
Volpini aveva una grande stima di Aldo Deli: spesso, anche in nostra presenza, chiedeva notizie di carattere storico a Deli che, come è noto, è di una attendibilità assoluta. Tutti i libri di Volpini sono stati letti e corretti, in bozze, da lui.
Credo che nessuno, meglio di Deli, abbia parlato di Volpini, giovane resistente, in modo più profondo. Disse Deli nel discorso di addio del 13 gennaio 2000: “Voglio qui davanti a voi dire che avevamo solo 19 anni quando fummo posti davanti a una responsabilità di cui non conoscevamo i confini. Valerio fece capire con voce commossa, col turbamento dell’animo che si trasmise a chi lo ascoltava, che si apriva davanti a tutti la grande avventura della libertà, della conquista della libertà. E’ una responsabilità che dobbiamo fare nostra – ci disse – ci si chiede una testimonianza che ha un valore morale e politico”. (Enzo Uguccioni)

 

Comitato operativo: Silvano Bracci, Aldo Deli, Emanuele Mosci, Gastone Mosci, Mario Narducci, Angelo Paoluzi, Franco Porcelli, Ernesto Preziosi, Enzo Uguccioni, Giovanni Volpini.

Collaboratori: Gabriele Baldelli, Raimondo Rossi, Maurizio Tomassini.

Aderenti
Circolo Culturale Jacques Maritain, Fano: Francesco Torriani, Enzo Uguccioni, Giuliano Giuliani, Nello Maiorano, Valentino Valentini.
www.agoramarche.it Laboratorio Valerio Volpini per la cultura, la persona e la comunità, Ancona: Girolamo Valenza, Giancarlo Galeazzi, Gastone Mosci, Giovanni Volpini.
Sestante, periodico cultura e società di Senigallia: Franco Porcelli, Sergio Fraboni, Adriano Rosellini.
Novanta9, rivista di lettere arti e presenza culturale, direttore Mario Narducci, red. Angelo Paoluzi, Liliana Biondi, Fabio M. Serpilli, Raimondo Rossi, Maria Antonietta Pezzopane, Mariarita Stefanini.
Circolo Acli-Centro Universitario di Urbino: Giovanni Buldorini, Gastone Mosci, Sergio Pretelli, Alfredo Ferretti, Raimondo Rossi.
Iscop, Pesaro: Mauro Annoni.
Biblioteca Archivio Vittorio Bobbato, Pesaro: Simonetta Romagna.
Acli Provinciali Pesaro e Urbino: Maurizio Tomassini.
Associazione Nazionale Partigiani Cristiani: Giovanni Bianchi.
Conversazioni di Palazzo Petrangolini di Urbino: Gastone Mosci, Giovanni Buldorini, Sergio Pretelli, Paolo De Benedetti, Giannino Piana, Daniele Garota, Germana Duca, Raimondo Rossi, Iaia Lorenzoni, Fabio M. Serpilli, Mariapia Acquabona, Francesco Acquabona, Mario Narducci, Andrea Milano, Piergiorgio Grassi, Narciso Giovanetti, Giustino Gostoli, Adriano Calavalle, Alberto Calavalle.
ANPI di Pesaro: Giuseppe Scherpiani.
ANPI di FANO “Leda Antinori”: Paolo Pagnoni.
“Il nuovo amico”: Don Raffaele Mazzoli.