Valerio Volpini visto da Walter Piacesi 1978
Valerio Volpini visto da Walter Piacesi 1978

4. POST FESTIVAL DIGITALE “VALERIO VOLPINI E LA RESISTENZA” 17 gennaio 2014

in Festival Digitale Valerio Volpini e la Resistenza - Fanocittà

4. POST FESTIVAL DIGITALE “VALERIO VOLPINI E LA RESISTENZA”
Appendice Festival Digitale “Valerio Volpini e la Resistenza” – 17 gennaio 2014

Valerio Volpini foto di Tano Citeroni 

 

Sommario, 4, 17 gennaio 2014, Appendice Festival Digitale “Valerio Volpini e la Resistenza: 1. “Una poesia di Marcello Camilucci, Sterile innocenza” di Gastone Mosci, pubblicata in “La Discussione”, Aprile 1961. 2.“La letteratura europea si è ispirata alla vita e alla storia della Resistenza” di Valerio Volpini, un saggio di grande respiro pubblicato in “Il Popolo”, decennale della Resistenza, 24 aprile 1951. 3. “Il libro su Valerio Volpini, letteratura e società” di Enzo Uguccioni , un invito alla lettura.

 

Sterile Innocenza di Marcello Camilucci

1.

UNA POESIA DI MARCELLO CAMILUCCI: STERILE INNOCENZA

La poesia accompagna la vicenda artistica di Marcello Camilucci (1910-2000), è il cuore della sua scrittura che raccoglie segni spirituali profondi e stimoli legati al Vangelo di Cristo e alla tradizione teologica di Agostino d’Ippona e di Pascal. Camilucci ha vissuto a Senigallia, a Pergola negli anni quaranta, poi a Roma. E’ un autentico autore marchigiano di formazione e romano di vita, direttore della rivista letteraria “Persona”, anni cinquata-settanta insieme al poeta Adriano Grande, acuto critico letterario, narratore, scrittore di favole, favolelli e apologhi (il suo autorevole campo creativo) con “Né angelo né bestia”, illustrazioni di Giovanni Hajnal (De Luca Editore 1969), “Parabolette” (“Ombrone” di Paolo Tesi, Luglio 2003), collaboratore della terza pagina del quotidiano “Il popolo” per tutto il secondo dopoguerra del Novecento. Era amico di Valerio Volpini, Sergio Anselmi, Fabio Ciceroni, don Italo Mancini, Elvio Grossi. La rivista senigalliese “Sestante” gli ha dedicato un numero monografico, “Marcello Camilucci, poeta e scrittore” nel Luglio 2003. Questa sua poesia, “Sterile innocenza”, si lega al territorio pergolese negli anni 1944-45, appartiene alla vicenda della Resistenza, è stata pubblicata nel periodico “La Discussione” nell’Aprile 1961 in un fascicolo commemorativo che portava anche il saggio, “La Resistenza come bene comune”, di Valerio Volpini.
La poesia di Camilucci denuncia lo stato di abbandono del mondo giovanile e il tradimento dei valori dell’uomo, e sottolinea il canto di fiducia che si sviluppa con la speranza e con la fede: è un documento spirituale e politico per la libertà e la giustizia. (Gastone Mosci)

 

La Resistenza Bene Comune di Valerio Volpini 

2.

LA LETTERATURA EUROPEA SI E’ ISPIRATA ALLA VITA E ALLA STORIA DELLA RESISTENZA

di Valerio Volpini

C’è in Europa un’ampia letteratura della Resistenza e sulla Resistenza, e non poteva essere diversamente poiché gli scrittori, come tutti gli altri uomini, hanno dovuto compiere, ad un certo momento, la loro scelta civile e morale che non è restata senza precisi riflessi nelle loro opere. Talvolta anzi la letteratura è stata strumento diretto e violento di resistenza al male così come spesso una esperienza e una sofferenza patite si sono espresse in cronache giunte a significato di poesia.

 

La letteratura luogo della Resistenza

Si può affermare al di là delle specificazioni estetiche, che la letteratura europea non è stata estranea alla vittoria della “natura umana offesa” e della “civiltà” contro una delle più nere e folli perversioni dei tempi: il nazifascismo. In fondo – e non voglio neppure accennare ad una precisazione critica in questa nota che vuol essere appena una memoria di letture e informazioni per forza incompleta – in fondo le lettere hanno in tutti i tempi aiutato a non tradire e per la loro natura non mi pare possano negare la ragione o imbestiare la persona, non tendere, sia pure da proprie strade alla verità. Nazismo e fascismo – con tutto quello che presuppongono – non hanno trovato la conferma decisa che in pochi coscienze di scrittori: deboli interiormente o illusi qualche volta apertamente, è vero, ma con riserve per cui furono sempre dei poveri strumenti. C’è stata invece gran parte che ha resistito nella forma più elementare isolandosi, compiendo quella che nella Germania di Hitler fu detta “emigrazione interna” per distinguerla da quella clamorosa di moltissimi uomini di lettere che preferirono l’esilio.

 

Una opposizione capace d fermento

Io penso che libri come quelli di Benda (“La trahison des clercs”) sono un’opposizione capace di fermento anche negli animi degli scrittori non politici e del resto quando Georges Bernanos e André Malraux scrivono “Les grands cimetières sous la lune” e “Le temps du mépris” non hanno già deciso una vocazione estensibile alla parte migliore dell’intelligenza francese così come Thomas Mann con i suoi “Moniti” a quella tedesca? Tanto più che questi hanno una forza ed una fama che va ben oltre i confini delle patrie loro, con un significato di chiarificazione comprensibile se si pensa alla cura delle censure totalitarie nel non far conoscere quegli atti di accusa.
Ma al momento centrale della Resistenza si trova che pari alla forza militare nella lotta armata è quella della intelligenza e delle lettere.
Ho detto della forzata incompletezza di queste note di informazione ed è necessario lo ripeta perché di molti scrittori di Paesi letterariamente sciolti dal nostro, non si sono avute che scarse notizie, perché poche traduzioni e degli originali non ne sanno il contenuto che gli specialisti. E se è lecito comprendere anche le testimonianze sconosciute con altre non letterarie lo farò citando la raccolta delle “Lettere dei condannati a morte nella Resistenza europea” che raccoglie centinaia di lettere di sedici Paesi: è un libro troppo noto perché se ne debba discorrere qui, ma per giustificazione d’averlo citato in una nota di letteratura, dirò le parole di Mann: “Ammiriamo la poesia perché sa parlare proprio come la vita, ma siamo doppiamente commossi della vita che parla, senza saperlo, proprio come la poesia”; quel libro è la giovinezza d’Europa, una giovinezza, si intende, secondo il senso della certezza religiosa.
Dalla Francia e dai tedeschi soprattutto si sono avuti testi di impegnati di notevole significato: dove, forse, più s’è tradito e dove il “collaborazionismo” e l’adesione al nazismo ha rattristato di più (non può non aver addolorato collaborazionismo e adesione dei vari Jouhandeau o Hauptmann, Giono, Céline, Montherlant e Heidegger).

 

Pari alla lotta armata è quella dell’intelligenza e delle lettere

Saint-Exupéry , lo scrittore volante, ha dato una storia commossa con “Pilote de guerre”, Francois Mauriac – con il nome clandestino di Forez – pubblicò un violento “Cahier noir” e numerosi brucianti articoli morali e politici sui vari fogli clandestini iniziando quell’intervento immediato sugli avvenimenti civili che continua ancora.
La stessa équipe esistenzialista da Sartre a Camus a Simone de Beauvoir è nella lotta viva. Bernanos invia dall’esilio a cui volontariamente aveva aderito sin dal ’38, “Paroles aux Francais”, e Jacques Maritain il suo “A travers le désastre”. Fra i giornali clandestini uno anche letterario; egualmente clandestine le “Editions de Minuit” che pubblicano gran parte dei poeti e dei narratori. Ed è necessario ricordare le pagine dei diari sull’occupazione, di cui quelle esemplari sono di Charles Braibant; i racconti di Elsa Triolet e ancora i romanzi di Joseph Kessel (“L’Armée des ombres”) ed altri di Claude Aveline, Claude Morgan, André Frank e cronache di Gabriel Audisio, Jean Jacques Bernard e di altri ancora.
Ma il racconto migliore è quello di Vercors, “Le silence de la mer”, puntato sell’esame interiore di un ufficiale tedesco, strumento conscio ma incapace di ribellione, argomento suggestivo ripreso, fra gli altri, dall’italiana Grazia Maria Checchi in “Racconti in uno specchio” (Vallecchi ’50) e del greco Glenway Wescott in “Casa in Atene” (Bompiani ’47), naturalmente con un proprio preciso timbro umano ed ambientale.

 

I poeti francesi

La poesia della Resistenza in Francia, si sa, costituisce un vero e proprio capitolo nella storia delle lettere per il tentativo certamente notevole di uscire dall’impasse dall’esaurimento surrealista. I poeti di tutte le generazioni diedero i loro canti civili, i loro inni alla libertà, dalla terra più lontana dei Pierre-Jean Jouve, Jules Supervielle, Saint-John Perse sino a quella ultima di Pierre Seghers, Claude Roy e Pierre Emmanuel, questo certamente il migliore dei giovani poeti: i suoi “Poèmes d’Enfer” ebbero molta notorietà. Ma la popolarità fu raggiunta da alcuni componimenti dei due fra i maggiori: Louis Aragon e Paul Eluard, il primo soprattutto in “Le crève-coeur” , “Le Musée Grévin” e “Cantique à Elsa” e il secondo in “Poésie et vérité” e “Les armes de la douleur” diedero l’epica della Resistenza francese anche se, per il loro impegno politico estremista, il lavoro finì per perdere il suo vigore autenticamente letterario. La più bella raccolta di poesia civile, pubblicata durante l’occupazione è quella che porta il bel titolo “L’honneur des poètes” ; e davvero i poeti francesi sentirono più intensamente e più da vicino il dramma della loro patria e dell’anima dell’Europa tradita. Anche fra i caduti, fucilati o morti in campo di concentramento, sono da annoverare molti scrittori (oltre a parecchi uomini di cultura e di fama): Saint-Paul-Roux, Max Jacob, Saint-Exupéry, Paul Nizan, Jean Prévost, Benjamin Crémieux, Plitzer e Jacques Decour, uno dei redattori di una rivista letteraria clandestina.

 

Gli scrittori tedeschi

L’esilio fu per Thomas ed Heinrich Mann, Herman Hesse, Alfred Doeblin, Berthold Brecht, Erich Maria Remarque, Ernest Toller, Arnold Zweig e vari altri l’unica maniera per restare fedeli alla vocazione ed ai propri ideali in molte loro opere – troppo note perché debba farne un arido elenco – si ritrova lo spirito di avversione a tutto ciò che è militarismo e imperialismo prussiano, ed alla follia hitleriana. Di costoro Thomas Mann fu certamente il più deciso e combattivo attraverso le opere e la radio dagli Stati Uniti di cui egli divenne fedele cittadino.
Fra i grandi scrittori della emigrazione interna spiccarono le figure di Ricarda Huch, Karl Jaspers, Ernest Viechert; la loro opera non poté tradursi nella pagina se non dopo la fine della guerra. E Wiechert che fu per otto mesi nel campo di Buchenwald, raccontò, con un senso di grave malinconia più che di tragedia, l’esperienza in “La selva dei morti” (Mondadori, ’47): aveva pagato con l’internamento l’ardire di aver difeso il pastore Niemoller.

 

Il diario di Anna Frank

Il “Diario di Anna Frank” (Einaudi, ’54) è il racconto autobiografico di una bambina ebraica che vive nascosta ad Amsterdam, una delle documentazioni più impressionanti ed umane fra le tante cronache di prigionia certamente la più singolare; drammatica e disperata invece “La 25.a ora” di Georghiu.
Si hanno notizie di molte opere fra i Paesi dell’Europa dell’Est, ma posso citare solo il lungo romanzo, l’epica dei partigiani russi, “La giovane guardia”, di Alexandre Fadeev.

 

I narratori italiani

La brevità della Resistenza da noi – rispetto a quella di altri paesi – ed altre ragioni di formazione letteraria non diedero opere di particolare valore anche se, varie, sufficienti per documentare l’onore dei poeti italiani. Dorso, Gramsci, Gobetti appartengono alla letteratura politica; fra gli esuli che diedero opere creative, Silone è l’unico, “Fontamara” (Mondadori) è certamente un romanzo significativo ma la chiave è sempre decisamente troppo politicizzata; Silone mi pare insomma un politico che scrive romanzi e non uno scrittore che fa della politica. Elio Vittorini con “Uomini e no” (Bompiani 1945) ha dato una cronaca della vita clandestina in Milano. Il motivo migliore del libro è nella ricreazione del clima e del “paesaggio spirituale”; troppo tematici e protagonisti. Fra i romanzi degli scrittori giovani il migliore certamente è quello di Guglielmo Petroni, “Il mondo è una prigione” (Mondadori, 1949) in cui la vicenda esterna – l’imprigionamento delle carceri “repubblichine” di via Tasso esperimentato dall’autore – conduce ad una esatta indagine intima quasi di natura religiosa. Ne hanno scritto, collocando i personaggi, sul fondo della guerra partigiana, Carlo Cassola “Fausto e Anna” (Einaudi, 1952), Nello Saito “Maria e i soldati” (Bompiani, 1948), Stefano Terra “Rancore” (Einaudi), Guido Sebogra, Dario Ortolani, Ugo Moretti, Carlo Coccioli, Natalia Ginsburg.

 

I migliori racconti italiani

I migliori racconti sono invece quelli di Beppe Fenoglio nella raccolta “I quaranta giorni della città di Alba” (Einaudi 1952), di Italo Calvino con “Ultimo viene il corvo” (Einaudi, 1949), che aveva esordito con un romanzo sulla vita dei ribelli “Il sentiero dei nidi di ragno” (Einaudi, 1947), poi Arrigo Benedetti con “Paura dell’alba” (Documento, 1946).

 

Salvatore Quasimodo e Alfonso Gatto

La stessa povertà è nella poesia; di poeti della Resistenza non si può parlare; al più fare i nomi di Salvatore Quasimodo e Alfonso Gatto: del primo “Con il piede straniero sopra il cuore” (Quaderno di Costume, 1945), più che un canto civile veramente aperto è l’esempio di un adattamento delle occasioni alla propria vocazione stabilita , cosa che non avviene nella raccolta di Gatto, “Il capo sulla neve” (Quaderni di Milano-Sera s.d.) in cui, come nei poeti francesi, si tenta anche la dichiarazione direttamente politica, ma di entrambi le cose migliori restano sempre quelle della memoria personale con tutte le sue suggestioni.
Poco più di un centinaio di componimenti nella poesia italiana sono di argomento resistenziale; ne hanno varie, oltre ai due di cui ho detto: Govoni, De Libero, Soldati, Fortini, Monterosso, Luisi, Accrocca, Tobino, Menichini. Cenni occasionali anche nei due grandi, Ungaretti e Montale. Comunque tutte queste opere nacquero in clima di deciso e ragionato antifascismo.

24 aprile 1955

Valerio Volpini

 

3.

I L LIBRO SU VALERIO VOLPINI

LETTERATURA E SOCIETA’

di Enzo Uguccioni

Nelle prossime settimane usciranno gli Atti del Convegno su “Valerio Volpini, letteratura e società”, organizzato dal Circolo Culturale Jacques Maritain di Fano nel decennale della scomparsa 2000 – 2010 dello scrittore fanese e pubblicati nei quaderni del Consiglio Regionale delle Marche, presieduto da Vittoriano Solazzi. Sono riportati gli interventi di saluto di Francesco Torriani, Franco Mancinelli, Matteo Ricci, Vittoriano Solazzi, mons. Armando Trasarti e le approfondite relazioni di Piergiorgio Grassi e Pasquale Maffeo. Seguono le ampie comunicazioni di Enzo Uguccioni, Gastone Mosci, Giuliano Giuliani, Fabio Ciceroni e le puntuali conclusioni di mons. Giovanni Tonucci.
Ogni volta mi chiedo: a cosa serve la trascrizione di discorsi che si sono già ascoltati? Sono superati? Andranno a riempire scaffali di libri che nessuno consulterà più? Sono interrogativi più che legittimi, ma… C’è un “ma” che credo possa giustificare l’avvenimento. Un vero scrittore, se è tale, cresce sempre più dopo la scomparsa e se ne avverte la lucidità, la ricchezza, la lungimiranza man mano che si rileggono i suoi scritti. Volpini appartiene a quel gruppo di scrittori che più si leggono e più aprono la mente e il cuore ai valori essenziali della vita, per i quali vale la pena di lottare con tutte le forze: dalla Resistenza alla democrazia fino alle ultime battaglia contro le degenerazioni della politica e la conseguente crisi dello Stato democratico. Leggendo, o meglio rileggendo i suoi scritti (penso non soltanto ai libri famosi, ma alle succose e sferzanti pagine di “Famiglia Cristiana”) torna in mente la frase che leggiamo all’ingresso della biblioteca dell’Escorial, in Spagna: “La biblioteca è il luogo ove i morti aprono gli occhi ai vivi”.
Un pretino magro, magro che ebbi la ventura di conoscere negli anni universitari e che poi ritrovai, per gli imperscrutabili disegni della Provvidenza, a fianco di don Romolo Bernacchia ( Fratel Tommaso, per i monaci) nella Comunità fondata da don Dossetti (proprio in questi giorni don Romolo è stato eletto superiore della stessa Comunità) ha scritto un poesia intitolata “Vecchi amici” che esprime l’amore per i libri, le opere letterarie in genere. Ne trascrivo la prima parte: le parole di don Umberto Neri – che faccio mie – sono il modo migliore per dare ragione della nuova pubblicazione e per invitare tutti a riscoprire il pensiero di Valerio Volpini scaturito dalla mente di un cristiano illuminato dalla grazia divina e dal grande amore per l’uomo:

Quante vecchie amicizie ho coltivato,
giorno per giorno si fanno più profonde
fedeli e dolci, e sono mio conforto.
Kierkegaard e Basilio e tanti altri:
la loro fede è la mia fede,
e mia speranza è la corona che li cinge di gloria.
In momenti supremi mi hanno messo nel cuore
risposte chiare e scelte decisive, parole di salvezza:
miei amici e padri li ascolto con timore e amore grande,
come fratelli, maestri e santi.

(Ho creduto perciò ho parlato in “Canzoniere di un monaco”, EDB 1997)
Enzo Uguccioni