Valerio Volpini
Valerio Volpini

7. POST FESTIVAL DIGITALE “VALERIO VOLPINI E LA RESISTENZA” 7 febbraaio 2014

in Festival Digitale Valerio Volpini e la Resistenza - Fanocittà

7. POST FESTIVAL DIGITALE “VALERIO VOLPINI E LA RESISTENZA”
Appendice Festival Digitale “Valerio Volpini e la Resistenza” – 7 febbraio 2014

 

Valerio Volpini foto

 

Questa Appendice al Festival Digitale, la n. 7 del 7 febbraio 2014, indugia su due aspetti: il segno dell’amicizia di tre giovani fanesi, legati al mondo cattolico e il continuo lavoro intellettuale di Aldo Deli, storico e narratore. Sono 4 della stessa generazione, 4 magnifici personaggi, una amicalità nel segno della politica della Resistenza, delle consapevolezze del bene comune e del valore della democrazia, Per Valerio Volpini, Aldo Deli e Leopoldo Elia c’è da aggiungere la teoria degli effetti della loro testimonianza: l’essere nella lotta armata o nella partecipazione culturale per chi era più giovane. Hanno creato anche loro il luogo dei cattolici democratici, degli amici di don Mazzolari, dei fedeli al gruppo di Giuseppe Dossetti, con Fanfani, La Pira, Giuseppe Lazzati, Aldo Moro, l’Azione Cattolica e la Fuci, durate la guerra, e dopo nel cuore dell’apporto del partito della dc alla cultura e alla elaborazione della Costituzione Repubblicana.

 

Arnaldo Battistoni

1.

L’AMICIZIA FRA POETA, INCISORE E GIURISTA

 

L’amicizia di Valerio Volpini, Arnaldo Battistoni e Leopoldo Elia nell’epoca della pubblicazione di “11 poesie di Valerio Volpini / 11 incisioni di Arnaldo Battistoni” (1947) è stata presentata in particolare nelle Appendici 5 e 6 del Festival Digitale ed anche a luglio-agosto. Vi ritorniamo sopra avendo raccolto altro materiale critico. Battistoni era in contatto con grandi incisori come Luigi Bartolini e Giorgio Morandi. Fa giungere la cartella a Morandi a Bologna, che ne da un giudizio positivo. Del resto la plaquette si presentava bene ed i lavori di Battistoni e di Volpini erano molto apprezzati. Morandi era docente di incisione nell’Accademia di Belle Arti di Bologna. Risponde presto alla richiesta di Battistoni.

 

LETTERA DI GIORGIO MORANDI

 

Lettera di Giorgio Morandi

(Lettera originale di Giorgio M.)

Bologna 6 febbraio 1948
Caro Battistoni,
La ringrazio di avermi inviato la pubblicazione colle poesie di Volpini e colle Sue incisioni. Tipograficamente l’edizione si presenta in modo originale e le acqueforti mi sono piaciute assai. In modo particolare mi hanno interessato quelle che accompagnano le liriche “Fantasmi” e “Il sorbo nell’uliveta”.
Rallegramenti ed auguri per il Suo lavoro. L’assicuro che leggerò con interesse anche i versi del Suo amico. Ricordo benissimo quando venne a casa mia con Sua sorella e mi auguro si sia completamente ristabilito in salute e La prego di porgergli i più distinti saluti.
Se avrà occasione di vedere l’amico prof. Castellani Lo saluti tanto da parte mia.
Di nuovo La ringrazio. Cordialmente Suo

Giorgio Morandi

(in “Arnaldo Battistoni. Incisioni e acquerelli”, Introduzione critica Bruno Ceci, Editrice Associazione Pro San Leo 1986.

 

 

Leopoldo Elia 

BATTISTONI, LA NOVITA’ CONTINUA

di Leopoldo Elia

Non è certo il caso di riscoprire, nel 1986, il valore dell’artista Arnaldo Battistoni da tempo affermatosi tra i migliori esponenti della grafica italiana. Tuttavia il tempo, col suo trascorrere che talvolta sembra lento ed in altri momenti pare rapidissimo, ha il vantaggio di mettere in evidenza le “costanti” di un autore ed i tratti più rilevanti della sua personalità.
Così la caratteristica che, nel corso di quattro decenni, più mi colpisce nell’arte di Arnaldo è la sua mobilità: il non fermarsi mai su una cifra, la precisa intenzione di non “sfruttarla”, la ripugnanza per la ripetizione, la volontà di cambiare. La fedeltà a se stesso, la continuità del discorso è affidata a vie più segrete, a raccordi sottotraccia che legano i periodi e le fasi in modo non meccanico e pressoché involontario.
E il tempo trascorso associa alla modestia artigianale della vita la delicatezza e la discrezione di una esperienza artistica che ritrova i segni, le luci e le ombre del nostro paesaggio: quest’arte vive così nel mio ricordo, anche se supera nella felicità dei risultati i confini del ducato feltresco e della stessa regione marchigiana.
Ultimo viene l’amico, con la sua umanità generosa e col suo giudizio critico-ironico da fanese autentico.
Leopoldo Elia

(in “Arnaldo Battistoni. Incisioni e acquerelli”, Ibid.)

 

 

 

Ho messo in campo nomi e testimonianze per cercare di rappresentare un consesso autorevole di amici che si davano da fare nel loro campo formativo, nella loro vocazione e nel loro sentirsi fanesi. Tanta altra documentazione verrà alla luce, intanto propongo il mio ricordo di Leopoldo Elia, quando ci ha lasciati, pubblicato nel blog “Agorà Marche” (ottobre 2008) di Colle Ameno, di Torrette di Ancona, dove aveva vissuto alcuni anni d’esilio punitivo don Romolo Murri nei primi anni del Novecento. Il blog, nato nel gennaio 2005, sempre diretto da Mimmo Valenza, ha però preso alcuni mesi fa il nome di “Laboratorio Valerio Volpini per la persona la cultura e la comunità”, per sostenere gli studi, la ricerca e le testimonianze sui valori politici e civili della Costituzione Repubblicana. Si tratta di un programma di studio e di impegno ecclesiale che ha trovato il rivolo carsico del Meic, delle Acli e dell’animazione nel territorio di una rivista come “Sestante” di Senigallia, il Circolo Acli-Centro Universitario di Urbino, il Circolo Culturale Jacques Maritain di Fano ora in ripresa. (Ga.Mo.)

 

LEOPOLDO ELIA, UN MAESTRO DI VITA E DI CULTURA POLITICA

di Gastone Mosci

Vorrei ricordare Leopoldo Elia nel segno dell’amicizia, nutrita dallo splendore della sua spiritualità e della sua cultura. L’ho conosciuto attraverso Valerio Volpini ed ho partecipato ad una comune tensione per la politica ed il valore della democrazia. Valerio e Leopoldo avevano stretto il loro sodalizio al tempo della Resistenza e degli eventi che ne sono seguiti. Nel 1947 collaborano insieme ad un altro fanese, Arnaldo Battistoni, e nasce, fra Fano e Urbino, una plaquette d’arte amicale squadernata a piccola tiratura con carta povera per incisioni, “Undici poesie”, con undici poesie di Volpini e undici acqueforti di Battistoni. Leopoldo Elia è un interlocutore dell’iniziativa. Ora, penso che si possa realizzare una edizione anastatica di quel povero e bellissimo livre d’artiste per ricordare tre amici e la traccia giovanile della loro intelligenza umana e civile. Sono sempre rimasti fedeli a quei segnali e maestri di quell’umanità. Quando nel 2001 Fano ha ricordato Valerio Volpini nella Sala Verdi, Leopoldo Elia è intervenuto ed ha parlato dell’ “umanesimo cristiano” dell’amico nel legame con Jacques Maritain e di lui come “esperto in umanità” nel dialogo con Paolo VI, ma soprattutto delle sue tensioni profetiche nella lettura della politica della prima repubblica. Come Volpini, Leopoldo Elia portava una testimonianza sincera e autentica dei valori cristiani nella cultura e nella vita delle istituzioni. La memoria che vorrei sottolineare – come una personale risorsa spirituale da trasmettere a comuni amici – si colloca in un contesto molto prossimo, vissuto anche da altri intellettuali amici come Pietro Scoppola, Carlo Bo, don Italo Mancini, Aldo Moro. Come tutti loro ed ognuno con la sua personalità non conformista, Leopoldo Elia è stato un maestro di vita e di cultura della politica.

Blog Agorà Marche 7.10.2008

Gastone Mosci

 

 

2.

ERA NECESSARIO “UN POSTO AL SOLE”?

di Aldo Deli

Non entro nel grave attualissimo tema della denatalità europea: penso invece con ironia ad Hitler che coltivava il mito della razza pura mentre ora, in Germania, ci sono più di tre milioni di turchi! E’ proprio vero che a volte la storia fa matte risare sulle nostre trovate, e chissà quante ancora ne farà! A scuola (rivado nei tempi lontani della mia adolescenza) non si insegnava e nemmeno si accennava al culto della libertà, ma si esaltavano quelli del nazionalismo e della forza. Si diceva e si ripeteva, al canto di “Giovinezza” (parole di Salvatore Gotta) “molti nemici, molto onore”. Vecchio vizio se trovo che addirittura che nel 1896 il buon Cesare Selvelli (poi ingegnere) ce l’aveva a morte con Menelik e in alcune strofette “garibaldine” gli dava del boia, dell’assassino, del birbaccione. Ricordo la guerra contro l’Abissinia (1935) e mi chiedo che cosa mai ci aveva fatto il Negus Neghesti (re dei re) Ailé Selassié. Me lo sono chiesto in ritardo, ma allora erano gli anni del “consenso” al fascismo e gli italiani, troppi, molti, avevano abbassato la testa, obbedendo al Duce.

A scuola e per ogni dove ci veniva detto che avevamo bisogno di “un posto al sole” perché nella penisola eravamo in troppi e non c’era lavoro per tutti. Gli studenti si mostravano particolarmente sensibili al richiamo del Capo e lo mostravano facendo grandi “dimostrazioni”; da noi a Fano era così, cantando, oltre a “Giovinezza”, “L’inno di Roma” (che era stato musicato da Giacomo Puccini) e dando anche saggio del “passo romano”, serviva o doveva servire a dare vigore, a coltivare sogni di gloria.

La dimostrazioni non erano preparate con la cartolina precetto, bastava passare la voce e spesso nel pomeriggio, con la banda del 94° fanteria in testa, gli studenti sfilavano per il Corso o in Piazza ripetendo lo slogan infame che il giornalista Mario Appelius lanciava dalla radio: “Dio stramaledica gli inglesi”.
Ricordo che in una di quelle dimostrazioni un cartello illustrato mostrava un balilla che faceva la pipi nella bocca aperta del Negus, ma soprattutto ho in mente qualche strofetta allora in voga: “Caro Negus se permetti / in Italia stiamo stretti / allungheremo lo stivale / fino all’Africa Orientale”. E poi ricordo: “Con la barba del Negus ci farem gli spazzolini / ci pulirem le scarpe al Re e a Mussolini”.

Quando Dio vuol perdere una persona la fa impazzire, ma il diavolo più lieve (come argutamente nota Salvatore Satta) la fa ridere e la fa diventare ridicola.

E noi ridevamo molto, il diavolo era con noi, vittime predestinate non capivamo nulla del disvalore che il regime ci propinava. Chi riusciva a capirlo (ma erano troppo pochi) finiva in prigione o al confino. E il posto al sole? Fu una favola breve con brutta fine.

 

2004
Aldo Deli
(in “I merli di Fano“, a cura di Enzo Uguccioni, Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, 2008, pp.203-4)