8 settembre 1943
8 settembre 1943

L’8 settembre: la grande paura. Ancora ricordi del figlio del maresciallo

in Festival Digitale Valerio Volpini e la Resistenza - Fanocittà

 8 settembre 1943

L’8 settembre: la grande paura. Ancora ricordi del figlio del maresciallo

Non avevo mai visto mio padre in abiti borghesi, sempre in divisa: accadde qualche giorno dopo l’8 settembre, una data che fu certamente più traumatica di quella del giorno della caduta di Mussolini e del suo fascismo. Non ci furono buste gialle, nessun ordine e il telefono rimase silenzioso. Mio padre l’usò spesso per chiamare il centralino del comando del Reggimento, senza ottenere risposta. Allora prese la bicicletta ( il 9, il 10?) e si avvio da Piazza d’Armi alla caserma Nolfi.

Restò fuori più di un’ora, i soldati erano molto nervosi e preoccupati. Rientrò e comunicò che nella caserma non c’era più nessuno, solo il rumore di migliaia di fogli di ufficio che il vento faceva volteggiare nel cortile. Tutti erano scappati ( qualcuno sembra con la cassa del Reggimento … ), dimenticandosi di avvertire un maresciallo e i suoi 8 soldati che ancora presidiavano un deposito colmo di armi e tante altre cose di valore militare! Ricordo che mio padre disse ai soldati di andarsene ( abitavano tutti nelle vicinanze di Fano) nel timore che arrivassero i tedeschi, che ancora a Fano non si erano visti. Cinque di loro se ne andarono subito, tre rimasero. Ricordo che dissero a mio padre ” Maresciallo, sapete cosa dobbiamo fare prima”. Mio padre rispose “Sì”. Intanto alcune persone che conoscevamo e che abitavano in piccole case popolari aldilà dell’Adriatica vennero a prenderci ( mia madre, mia sorella e me) e ci portarono a casa loro dove restammo chiusi per alcuni giorni. Un gesto da non dimenticare, una manifestazione di solidarietà e bontà. Mio padre lasciò il deposito nel tardo pomeriggio. Solo allora i tre soldati se ne andarono: uno a Fossombrone, uno a Fratterosa e l’altro mi sembra a Monterado. Dei primi due ricordo il cognome, curiosamente lo stesso anche se non erano parenti. Quello che ricordo è che erano comunisti e io a sette anni e mezzo lo sapevo. Un volta ( prima del 25 luglio) uno di loro prese una falce e un martello, li posizionò come il simbolo e mi disse ” quando sarai grande, comanderemo noi”. E’ chiaro che mio padre mi impose di non raccontare niente, anche a mia madre che sarebbe sicuramente svenuta! Chiesi a mio padre la sera cosa avessero fatto. Mi rispose “l’inventario”. Era vero. Mio padre prima di chiudere il “magazzeno” aveva stilato l’elenco di tutto quello che c’era, elenco che conservò e che consegnò a Iesi al comando di raccolta del rinato Esercito Italiano subito dopo lo scioglimento nel settembre 1944 del CIL (Corpo Italiano di Liberazione). Qualche mese dopo fu richiamato in servizio fra i primi, non avendo aderito alla Repubblica Sociale. Rividi così di nuovo mio padre in divisa, una curiosa divisa che nulla aveva in comune con la precedente: era un mix di indumenti inglesi ed americani. Ricordo un giaccone invernale verde, americano, che assomigliava ad giacca da casa, calda e comoda, ma certo poco marziale. Solo dopo la guerra mi disse che con i tre soldati avevano reso inutilizzabili le armi, mitragliatori e mitraglie. Gli otturatori , messi in casse furono gettati in mare, dove oggi c’è il go kart. Abbandonammo così la casa con tutto quello che c’era dentro. Un momento tristissimo fu dover lasciare Diana, la fedele sentinella, a cui mio padre era affezionatissimo. Anche lì trovammo solidarietà. La prese un contadino che abitava non lontano dal campo sportivo. Mio padre ed io l’accompagnammo. Fu legata alla catena. Guaì a lungo quando la lasciammo, guaiti che sentimmo a lungo, nel silenzio di quelle notti. Quando tornammo a Fano nelle seconda settimana del settembre ’44, una delle prime cose che fece mio padre fu di andare a ricercare Diana. Ci dissero che era morta qualche settimana dopo che la lasciammo: non mangiava. Era abituata a mangiare solo nella ciotola che le veniva data da uno in divisa! Il problema a questo punto era nascondersi. Fu risolto dal marito della mia balia, che io amavo come una seconda madre. Commerciava in pollame, uova e tutto quello di commestibile che ancora si poteva trovare. Aveva un camioncino e il suo punto di riferimento era Corinaldo. Trovò lì una famiglia ( straordinaria) che ci ospitò per un anno. Eravamo sfollati! Partimmo una mattina all’alba. Un ultimo sguardo al deposito, alla nostra casetta, alla casa cantoniera, all’osteria della Ilde, dove i vecchietti chiamavano Hitler, Ilter e in barba al cartello che pendeva in una parete, “qui non si sputa per terra, non si bestemmia e non si parla di politica” facevano al contrario gioiosamente le tre cose! Quando partimmo non passavano più i treni dei primissimi giorni dopo l’8 settembre, carichi fin sopra il tetto delle carrozze, di soldati che cercavano di mettersi in salvo e a cui molte donne lanciavano abiti civili. A Corinaldo restammo un anno. Con un particolare di non poco conto. Mani amiche, a cui va una grandissima riconoscenza, fornì alla nostra famiglia autentici documenti “falsi”. Un altro cognome, carte di identità per i miei genitori ed altro. Ovviamente se questi documenti ad un normale controllo potevano reggere, non erano sufficienti per ottenere sussidi per gli sfollati, carte annonarie, iscrizione alla scuola … Fu un anno difficile e di fame … ma per me un anno senza scuola, in giro per i campi, a tirare con la fionda e ad imparare il corinaldese. Ma fu anche un anno di paure, paure dei repubblichini, dei tedeschi e delle spie. Molti sapevano che mio padre era un militare, ma nessuno lo disse. Per tutti era un impiegato con una malattia renale, era il signor M. Ma anche questa è un’altra storia. Di cannonate e morte, di preti e giovani coraggiosi, di persone buone e solidali, che sapevano di rischiare ( per primi i nostri padroni di casa), di qualche squallido fascistello, non solo maschio, di qualche opportunista, ma anche della dolcezza della mamma di santa Maria Goretti, vicina di casa, di preghiere e di attesa. Un’attesa che durò troppo a lungo: ma gli alleati dov’erano? Anche se di notte da radio Londra giungevano i famosi messaggi che mio padre ed altri ( chi erano?!) ascoltavano con attenzione: ” la pipa del nonno è spenta”, i “garofani sono fioriti”… (Angelo Sferrazza)