Fano Chiesa di San Francesco
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LA BUSTA GIALLA Il 25 luglio del figlio di un maresciallo di Angelo Sferrazza

in Festival Digitale Valerio Volpini e la Resistenza - Fanocittà

Fanocittà | Festival Digitale Valerio Volpini e la Resistenza, 25-31 luglio 2013

LA BUSTA GIALLA Il 25 luglio del figlio di un maresciallo

di Angelo Sferrazza

 

 Fano Chiesa di San Francesco

FANO. La memoria di un bambino cattura, inconsapevolmente, eventi importanti e li conserva nitidi per sempre. Capita quasi a tutti: c’è chi afferma di ricordare addirittura cose di quando aveva due anni! Nel luglio del 1943 di anni ne avevo sette e mezzo. Finita da poco la II elementare alla Corridoni e tesserato d’ufficio come “figlio della lupa”. Ho indossato la divisa una sola volta, all’asilo Manfrini perché scelto ( una mia zia ne era la direttrice!) a montare la guardia in occasione della visita del Ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai a Fano. Le foto di quell’evento furono in mostra nella vetrina del fotografo Eusebi per molti mesi. Mio padre, nonostante le mie continue richieste, si rifiutò sempre ( lo capii qualche tempo dopo), di comperare una copia di quella che mi immortalava mentre facevo il noto saluto al Ministro dell’Educazione Nazionale, che mi accarezzò e disse “che bel bambino”. Raccontai la cosa a casa, mia madre fiera, mio padre fece finta di non capire, ma dalla sua bocca uscì qualche parola, che non riuscii a sentire: sono sicuro in siciliano, lingua che utilizzava quando si arrabbiava! Vivevo allora nel deposito militare di Piazza d’Armi, di cui non è rimasto nulla, fra l’Adriatica e la ferrovia. Si entrava da una strada, ora chiusa, che portava alla fornace, (dalla Nadia ci sono esposte bellissime foto di quel periodo) e che percorrevano gli ortolani e i carrettieri, grandi bevitori e robusti bestemmiatori, che andavano a caricare la “breccia”. Mio padre, maresciallo del 94° Reggimento fanteria, era responsabile del deposito da tutti chiamato “magazzeno militare” e abitavamo in una casetta all’interno del complesso, rete e filo spinato, con un cane nero (femmina di lupo belga) Diana, addestrata a Firenze al centro cinofilo dell’Esercito che, non so come facesse, riusciva a distinguere un militare in divisa da un “borghese”, contro il quale si lanciava ferocemente! In una parte del deposito erano alloggiati 7 od 8 soldati, “sedentari” come venivano chiamati perché non idonei alla guerra, tutti di paesi vicino a Fano, Fossombrone, Fratterosa, San Michele, per lo più agricoltori o di campagna” come si diceva allora, bravissimi, che mi insegnarono tanto sulle piante, gli animali e a togliere la pelle ( preziosa nel periodo dell’autarchia) al coniglio morto. Di loro racconteremo parlando dell’8 settembre. Quasi cinque anni, come in caserma! Giocavo sempre da solo spesso nel “magazzeno” fra armi, elmetti, “buffetterie” per muli ed altro, ma con a disposizione un telefono della Teti con il quale, chiedendo la linea alla centralinista, potevo chiamare degli zii, unici parenti con telefono. Il telefono era installato dentro il piccolo ufficio di mio padre, senza derivazione nella casa e quindi inutile dalle 19 alle sette del mattino. Quel telefono restò inesorabilmente muto il 25 luglio e l’8 settembre! La sera del 25 luglio, era una domenica caldissima eravamo stati dagli zii, a cena, forse si festeggiava una prima comunione. Tornammo a casa a piedi verso le dieci. Un pò tardi per il coprifuoco e l’oscuramento, ma mio padre essendo militare poteva circolare. Sul ponte in fondo ai passeggi, al termine della via Flaminia, lo zio fu salutato da due agenti di polizia in borghese e chiese loro cosa facessero. Risposero che aspettavano il passaggio di alcune macchine della “famiglia” dirette in Romagna. Cosa che accadde. Andammo a letto. Mio padre non accese la radio, quindi non sentì l’ormai famoso comunicato di Badoglio trasmesso poco prima di mezzanotte! Dormivamo tutti insieme nella stessa stanza per timore dei bombardamenti, come se questo ci avesse potuto salvare da una bomba! Nella notte, forse le tre, mio padre fu svegliato. Un sergente armato, assieme ad altri due soldati, consegnò a mio padre una busta gialla da ufficio. Mio padre, un po’ preoccupato, con il Reggimento che combatteva in Montenegro e per altre ovvie e comprensibili ragioni, gli chiese cosa contenesse. Il sergente rispose di non saperlo, poi lo sentii bisbigliare “Maresciallo, è caduto Mussolini”. Mio padre disse “era ora”, poi aprì la busta, la lesse, la piegò, si vestì, radunò i soldati che già festeggiavano (lo avevano già saputo da quello della pattuglia), li fece armare e li dispose ai quattro lati dell’ area del deposito. Non so cosa ci fosse scritto in quel foglio, ma da quanto fecero, immagino fosse l’ordine di difendere il deposito, pieno di armi ed altro importante materiale bellico, stivato e mai inviato al Reggimento al fronte! Ricordo centinaia di elmetti disposti in fila per terra nel pavimento, mi impressionavano. Si temeva forse una reazione della Milizia od altro. Non successe niente. Non ricordo nessuna ispezione di qualche ufficiale, tutto sembrava tranquillo. “La guerra continua” continuava a spaventare la gente. Quando qualche giorno dopo uscimmo mia madre ed io ( mio padre non poteva lasciare naturalmente il deposito), trovammo una città tranquilla, solo pattuglie armate che circolavano, soprattutto vicino alla stazione ferroviaria. Agosto passò noioso e caldo come sempre, ma io segregato più che mai all’interno del deposito fino all’8 settembre. Ma questa è un’altra storia, tragica e seria, da raccontare. Protagonisti i soldati del deposito, alcune famiglie che abitavano nelle piccole case popolari aldilà dell’Adriatica e i treni, i treni con i vagoni “tappezzati” dai giovani che cercavano di tornare a casa…

Angelo Sferrazza