Valerio Volpini 1991
Valerio Volpini 1991

3. POST FESTIVAL DIGITALE “VALERIO VOLPINI E LA RESISTENZA” 10 gennaio 2014

in Festival Digitale Valerio Volpini e la Resistenza - Fanocittà

POST FESTIVAL DIGITALE “VALERIO VOLPINI E LA RESISTENZA”
3. Appendice Festival Digitale “Valerio Volpini e la Resistenza” – 10 gennaio 2014

Valerio Volpini 1991 

 

1.
RICORDO DI GIANNETTO

di Valerio Volpini

 

Io ti ricordo quando assieme a Sandro, a Max, a Drago, a Serjosa, a Mario, agli altri stavamo davanti al gran fuoco nella casa di Giovanni di Dindi Boja, lassù, in montagna fra la neve.
Parlavamo di tutto. Cose solite e cose nuove. Che avevamo poste alla nostra meditazione con amore ed entusiasmo: libertà, giustizia, diritto del lavoro…
Allora c’era una specie di voluttà nel sentirsi braccati a causa di quella Verità, per via di quella lotta dalla quale doveva sorgere il nuovo mondo scevro dai falsi idoli. Ed era bello che ancora una volta dal dolore e dalla fatica dei giovani sorgessero gli uomini della libertà.
Quante cose dovrei ricordare di te Giannetto! Che eri il più coraggioso, che seppure il più giovane, il più “uomo”… ma lasciamo stare, dal momento che più di tutti hai dato, è naturale che eri più di tutti. E ti hanno ucciso per questa tua Fede che è la nostra e che non potevano uccidere perché era più forte del loro odio.
Sei caduto per quelle parole, le nostre parole, per quel mondo che tu sentivi come sentivi nelle tue vene il sangue ribelle.
E tu hai dato per tutti noi, per ognuno di noi che non ha saputo dare come te… per Sandro comunista, per Max ebreo, per Drago slavo, per me democratico-cristiano, per tutti gli uomini nei quali riconoscevi la tua stessa umanità e che al di sopra di ogni singola idea ci fa fratelli.
Vorrei dirti ancora, ma ho paura di poter falsare… io ti ricordo così davanti al fuoco, era gennaio, parlavi poco e poco ridevi ed il tuo sguardo era oltre.
5 aprile 1946
Valerio Volpini

 

Costruire

2.
STAMPA FANESE: COSTRUIRE

Il foglio settimanale Costruire è un periodico di due pagine, formato tabloid, direzione piazza Duomo 2 Fano, n. 5, Venerdì 5 aprile 1946, una copia Lire cinque, Direttore responsabile: Valerio Volpini, Società Tipografica – Fano.
Solo l’articolo di spalla, “Ricordo di Giannetto”, è firmato da Valerio Volpini. Anche gli altri articoli sono di buona scrittura: il fondo “Preti e politica” (sull’accusa “I preti non debbono fare politica in chiesa” di tutte le parti politiche interessate. La risposta:”si tratta di aprire il vocabolario e capire che cosa è religione e che cosa è politica”.) e ancora in prima pagina “La calunnia è un venticello” (l’opposizione eroica del clero al fascismo in Francia, al nazismo in Germania, Polonia e Ceccoslovacchia). Nel verso notizie sulla ricostruzione e la politica, con tono arguto, a San Costanzo, Saltara, Mondolfo, Fratterosa e un Brudét di sviolinate ironiche e una poesia in dialetto, “Una parulina giusta!…” (uno scambio di promesse fra i signor e i cuntadin e il mercàt ner).
Accanto alla testata due finestrelle: a sinistra una citazione di Mazzini su Gesù che sulla croce diede “il verbo dell’uguaglianza a tutti gli uomini…” e a destra una informazione secca. “Abbiamo il Sindaco. Il Consiglio ha scelto il Comunista Silvio Battistelli e la giunta colle persone: Capalozza, Ghiandoni, Mauri, Bossi, Marcelli, Pasquini, Ruggeri e Caselli. A tutti buon lavoro!”. Ho trovato il foglio nell’Archivio Valerio Volpini grazie al figlio Giovanni, solo quell’esemplare. (Gastone Mosci)

 

Costruire in memoria di Giannetto Dini

3.
Militari italiani nei Lager (3-fine)

di Angelo Paoluzi

 

E’ un capitolo aggiunto tardivamente – e va detto: colpevolmente – alla storiografia della Resistenza: la testimonianza offerta da 615 mila ufficiali e soldati italiani che i tedeschi rinchiusero dopo l’8 settembre 1943 nei Lager e che ci rimasero per diciotto mesi, sino alla fine della guerra nel maggio 1945, avendo rifiutato di servire sotto il III Reich o di aderire alla Repubblica di Salò. La decisione presa di Hitler il 20 settembre 1943 li privò persino dello status di prigionieri di guerra e così gli “Internati militari italiani” non poterono godere delle garanzie previste dalla convenzioni internazionali.

 

La quarta Resistenza

La quarta Resistenza, è stata chiamata: accanto a quella dei partigiani in armi, a quella del sotterraneo sostegno popolare ai “combattenti dell’ombra”, a quella dei soldati del CIL, il Corpo italiano di liberazione. Un fronte, quello dei campi di concentramento, che pose problemi logistici a Berlino: che ne guadagnò in forza-lavoro coatta ma fu costretta a impiegare diecine di migliaia di carcerieri, molti dei quali sottratti alle esigenze belliche. Esso influì inoltre negativamente sulla possibilità per la RSI sia di mettere in piedi un esercito degno di questo nome, sia di trarne motivo di propaganda; anche perché la condizione di “schiavi di Hitler” nella quale i prigionieri furono ridotti si tradusse in una miserabile vendetta per i 600mila “no” a Salò.

 

L’Alto Comando – e i 600 mila – non aderì a Salò

Oltre tutto soltanto una trentina dei più che trecento ufficiali superiori, generali e ammiragli, aderì – spesso tardivamente – alla Repubblica sociale.
In memorie, diari, lettere, rapporti c’è molta sofferenza, fame, denuncia di violenze, ma anche fierezza e orgoglio – al di là dai brutali trattamenti cui i prigionieri erano sottoposti –, nella coscienza di una dignità umana da difendere. In quei 773 giorni di prigionia inflitti ai reclusi italiani i tedeschi perdettero, dal punto di vista dell’onore, anche l’ultimo successo militare che avevano riportato, quello contro l’ex alleato italiano.

 

I tedeschi perdettero l’onore

Da qualche anno gli storici sono tornati a scrutare quel fenomeno, l’unico del genere nella seconda guerra mondiale, e se ne servono anche per rivalutare comportamenti attribuibili al carattere di un popolo. Con testimonianze che, a settant’anni dagli avvenimenti di cui si parla, possono essere indicate come esemplari anche dal punto di vista religioso. Nei documenti riemersi dalle polveri degli archivi – e nei quali non ci si deve meravigliare che un grande spazio sia concesso ai problemi della fame, del freddo, delle violenze subìte, delle sofferenze materiali – sono sottesi elementi di religiosità, da tradursi in vere e proprie professioni di fede.

 

Il tempo del Lager tempo di Dio

Da rileggere, in questo senso, le trenta, densissime pagine del capitolo “Il tempo del Lager tempo di Dio: la deportazione come esperienza religiosa”, esemplare analisi condotta da Vittorio Emanuele Giuntella, anche per aver sperimentato sulla propria pelle quella situazione, nel suo ormai classico “Il nazismo e i Lager”(Edizioni Studium).
Alcune personalità di spicco lasciarono un segno. Ad esempio Giuseppe Lazzati, nei cui confronti un compagno di detenzione nel campo di Sandhostel, Alessandro Natta – più tardi Segretario generale del PCI –, avrà parole di ammirazione, così come riconoscerà il ruolo positivo svolto dai cappellani cattolici. Alcune figure dei quali, come il salesiano don Francesco Luigi Pasa , don Ascanio Micheloni, don Giuseppe Barbero, sono altrettante leggende del mondo concentrazionario.

 

I religiosi nei campi di concentramento

Altrove, nel campo di Gross Hesepe, si costituì, attorno a un animatore lombardo, Rimero Chiodi, una cellula dell’Azione Cattolica, con tanto di tessera, intitolata a un giovane martire, Renato Scalandri, ucciso nel 1944 a Hammerstein mentre portava la comunione ad altri internati. E un’altra esistenza esemplare è quella di Federico Ferrari, vittima dei suoi carcerieri alla vigilia della liberazione, autore di un diario nel quale si respira religiosità. Vi sintetizza, con lucidità di giudizio e nessun rancore, la miseria del popolo cattolico nell’inferno pagano del nazismo e coglie nella gente lembi di una umanità che attenuano la disperazione. Sostenuto dalla fede non come ultimo appiglio ma come sostanza di vita, continua ad alimentare sentimenti di amicizia verso i compagni di sventura, facendosi intensamente partecipe dei loro problemi.

 

Il ruolo della memorialistica

Una atmosfera del genere è largamente presente nella memorialistica che sta affluendo da alcuni anni a questa parte, a parziale compenso dell’indifferenza che per lungo tempo ha circondato “quelli dei reticolati”. E’ anche necessario ricordare, senza voler rivendicare particolari meriti, come si spese la Chiesa per il recupero dei reduci, specialmente attraverso la Pontificia Opera di Assistenza, che diffuse ai parroci precise istruzioni sul modo con il quale essi dovevano essere trattati: non come malati e bambini, ma come uomini che avevano un orgoglio, portatori di una dura esperienza vissuta.

 

Teresio Olivelli “ribelle per amore”

E vogliamo concludere con Teresio Olivelli, protagonista di un’etica della Resistenza nella quale si sintetizzano tutti i valori dei “ribelli per amore”: un ufficiale italiano, esponente dei partigiani cattolici, teorico dei valori di libertà, ucciso a bastonate per aver difeso un compagno di prigionia. “Sui monti ventosi e nelle catacombe della città – così si conclude la sua “Preghiera del ribelle” – , dal fondo delle prigioni, noi Ti preghiamo: sia in noi la pace che Tu solo sai dare. Dio della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore”.

Angelo Paoluzi